mercoledì 31 agosto 2011

Le nuove forme di schiavitù

Tutte noi donne siamo patite per lo shopping, acquistiamo i capi che ci piacciono e spesso quelli che sembrano avere un ottimo rapporto qualità prezzo. In alcuni casi si punta sulle griffe, in altri sulle catene di abbigliamento come H&M, Camaieu, Promode, Tezenis, Calzedonia, Intimissimi, Pimkie, Jennifer, Stradivarius, Zara... Sono tutte catene che promettono di vestire la donna metropolitana, semplice, che vuole essere alla moda spendendo cifre non eccessive, variando i colori del proprio armadio da una stagione all'altra, variando magari le calzature, gli accessori. Acquistiamo senza porci eccessivi problemi riguardo il "come e da chi vengono realizzati" determinati capi, sperando che chi sta a capo della catena abbia il buon senso di non farci indossare cose tinte con sostanze nocive oppure realizzate da persone sfruttate. Uno spera che nel nome, ci sia anche una garanzia di una politica lavorativa seria  che rispetti non solo dell'ambiente che in questi ultimi anni sembra al centro delle attenzioni di mezzo mondo, ma soprattutto l'individuo che produce il capo. Sfortunatamente non è sempre così e le notizie dei giornali di oggi lo dimostrano, purtroppo!
Chiacchierando con una mia amica su facebook mi ha detto: "Hai letto di Zara?", io completamente all'oscuro da tutto le chiedo informazioni e dopo avermi indicato la bacheca di un amico comune ho notato che aveva postato questo link che vi invito a visitare: CLICCA!!! Insomma, il mitico colosso di abbigliamento spagnolo non ha tutte le carte in regola, a quanto pare nelle sue officine sudamericane, in Brasile per la precisione, si lavora in condizioni precarie e soprattutto sfruttando i bambini. Certe cose uno non vorrebbe mai scoprirle, ma purtroppo accadono tutti i giorni. Il problema è che noi che stiamo dall'altra parte restiamo un po' spiazzati domandandoci come dobbiamo comportarci nei confronti del colosso che alla fine, diciamola chiaramente, esiste grazie a noi consumatori!
Qualche anno fa avevo sentito questioni di questo genere legate ad altri due colossi, questa volta del mondo alimentare: la Nestlè e la Chiquita. 
La Nestlè nel 2005 era stata accusata di sfruttare il lavoro minorile in Africa, qui l'articolo: CLICCA!!! 
La proposta avanzata ai consumatori era stata quella di boicottare i prodotti Nestlè, a casa mia abbiamo smesso di consumare qualsiasi genere alimentare marchiato così.
La Chiquita che condannava i suoi lavoratori ad orari massacranti, condizioni precarie e soprattutto metteva in serio pericolo la loro salute bagnando, durante l'orario di lavoro, i campi con i pesticidi. Mettendo anche in pericolo la salute del consumatore stesso. (CLICCA per un piccolo approfondimento!) I mercati equosolidali si sono uniti contro questo colosso proponendo in alternativa la vendita delle loro banane coltivate in ambiente umanamente sostenibili e che tenevano in considerazione il lavoratore tanto quanto il consumatore. In casa da me questo tipo di banane non vengono più acquistate.
Un altro colosso poco affine alla tutela dei diritti dei lavoratori è la mitica CocaCola, la quale, si racconta, paghi i suoi lavoratori, in particolare questo accade nei paesi sottosviluppati, in bottiglie di CocaCola, i poveretti sono così costretti a rivenderla per avere in mano dei soldi per mantenere i famigliari.
Ma rifiutarsi di acquistare una determinata marca è in qualche modo una forma di protesta adeguata, che può effettivamente ledere ai piani alti? Bella domanda! Certo, se tutto il mondo boicottasse all'improvviso la Nestlè o la Chiquita, o Zara, di sicuro ci sarebbe un crollo nelle vendite, ma non so se questo farà capire alle alte dirigenze che la loro politica è sbagliata, e soprattutto è impensabile che tutto il mondo riesca ad unirsi per questo. E' bene quindi che i tribunali, che si prendono carico di questi processi, trovino un modo efficace per condannare chi commette queste ingiustizie. Noi come consumatori possiamo evitarli, certo! Forse dobbiamo chiedere maggiori controlli che prima di tutto aiutino i lavoratori, che facciano in modo che i bambini studino e non lavorino se sono in età scolastica, che aiutino anche noi a non cadere vittime di questi abusi di potere, in modo che non ci ritroviamo a sponsorizzarli involontariamente acquistando i loro prodotti. Attualmente noi possiamo decidere di non acquistare i marchi di cui conosciamo la storia commerciale e soprattutto la politica, ma sono certa che purtroppo sono molti i marchi che non sono proprio corretti nei confronti dei loro lavoratori, dobbiamo solo sperare che con il tempo vengano trovati e soprattutto che sia comunicato chiaramente ai consumatori! Insomma, si fanno politiche per dimostrare che i cosmetici non sono testati sugli animali, possibile che non si riesca a regolamentare lo sfruttamento lavorativo nel 2011, non solo dei bambini, ma anche degli adulti?


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